Mi incrocio con Rebecca nella cittadina di Kocevje, pronti per iniziare la TET Croazia il giorno dopo; non essere più in viaggio da solo fa cambiare tante cose, scopro però con piacere che la sostanza rimane e l’equilibrio viene velocemente recuperato.
La traccia croata nei primi km è noiosa; la vista di una volpe durante una pausa ci intrattiene, mentre affrontiamo due o tre ore di strada bianca in un anonimo bosco prima di cambiare paesaggio. Improvvisamente la strada si apre su colline di erba gialla bruciata dal sole che dolcemente si tuffano in mare, poco più in là s’intravede l’isola rocciosa di Krk. Il sole è ancora alto ma sembra quasi prendere la rincorsa per prepararsi ad un tramonto da cartolina.
Le strade sterrate continuano semplici e parallele alla costa, in un continuo insinuarsi nell’entroterra per poi uscire di nuovo vista mare; ad ogni occhiata verso ovest pian piano la luce inizia a farsi più arancione e il sole più basso. Entriamo nel Velebit con qualche divergenza di vedute rispetto ai ranger del parco. La strada dopo 7km è vietata ma la nostra traccia ci passa in mezzo. Data l’ora decidiamo comunque di entrare nel parco e di dormire in un rifugio. Mai scelta fu più azzeccata.
Amicizie in viaggio
Conoscere una nuova persona viaggiando insieme è fantastico; non c’è spazio per pregiudizi o preconcetti e fin da subito si è costretti a instaurare un rapporto di armonia e di collaborazione, pena la cattiva riuscita del viaggio stesso.
Una sera al campeggio di Plitvice vedo per la prima volta Luca, da lì si inizierà a condividere qualche giorno fra Croazia e Bosnia.
L’inizio non è dei migliori, si presenta con un KTM 990 Adventure R ancora più bello di quello che mi hanno rubato l’anno scorso. L’invidia è tanta…ma dopo una birra passa. 🙂
Dopo l’immancabile visita alla base aerea abbandonata di Zeljava in Croazia, puntiamo le nostre ruote in direzione Bosnia.
Un reticolo di strade tutte uguali, mal asfaltate e circondate da erba alta, separa la base militare dal confine. Faccio strada io fidandomi del navigatore ma sono costretto a fermarmi di fronte a due blocchi di cemento e una catenella che blocca la strada. Una parte del cervello cerca di far presente all’altra che all’andata non siamo passati di qua, mentre l’altra è già all’opera per capire come superare l’ostacolo.
Prontamente i miei compagni mi fanno notare che sulla mappa, lì, proprio davanti a noi, passa una linea; è una linea immaginaria, è una linea spesso maledetta, ma è una linea importante. È una linea di confine: al di là della catenella c’è un altro paese, la Bosnia. Va bene l’Europa e il grande valore che i nostri documenti da occidentali hanno in questo mondo, ma la Bosnia non aderisce a Schengen ed entrare illegalmente di questi tempi probabilmente non è una buona idea per noi. 😉 *
Bosnia
Durante il primo giorno di Bosnia mettiamo in pausa la TET per andare a vedere il parco nazionale della Una.
La Bosnia ci accoglie come mi aspettavo, le prime moschee, i primi niqab indossati dalle turiste provenienti dal medio-oriente, i prezzi bassi, il marco bosniaco, la gentilezza delle persone…
Varchiamo infatti il confine in una zona bosniaco-musulmana, attorno a Bihać, ma già la sera stessa ci troviamo in una zona croata–cristiana; così in Bosnia ogni volta che incontri una nuova cittadina non sai mai se troverai bandiere croate, chiese cattoliche o moschee, chiese ortodosse o i grandi cartelli che delimitano la repubblica Srpska.
La leggerezza del viaggiare in compagnia ci porta a cercare riposo in un paesotto evidentemente poco turistico, dove l’unica struttura in grado non solo di offrire un letto, ma anche solo un boccone per la cena, è un hotel a 2 stelle, costruito davanti a un ecomostro.
I bosniaci appaiono spesso timidi nei nostri confronti, il ragazzo che ci porta a vedere il garage dell’hotel è evidentemente imbarazzato quando apre la porta della legnaia puzzolente di fumo e ci indica dove parcheggiare. Sono più poveri di noi e lo sanno; sembrano quasi vergognarsene, ma sbagliano. Non siamo lì per giudicare. Dopotutto a me la moto l’hanno rubata a Bari, non a Mostar e nemmeno a Elbasan.
Attendevo la prima cena bosniaca da quando otto giorni prima ero partito da casa. Ma quando realizzo il costo di una birra ho comunque un sussulto, non ero abbastanza preparato, faccio un bel sorso di quella che già mi avevano servito e con un movimento molto vistoso mi giro verso il cameriere e ne ordino subito un’altra.
Sappiamo che la cucina dei Balcani non offre molta varietà e quella bosniaca men che meno, soprattutto se paragonate alle cucine vicine di Italia e Grecia. Eppure a me piace, eccome se piace! Tanta carne cucinata e accompagnata egregiamente, cevapi, pijeskavika, ma anche pita, burek, kaymak ecc… Con l’equivalente di 8€ a testa mangiamo e beviamo quel tanto che basta per rotolare fino alla nostra camera e risvegliarci 8 ore dopo.
Il primo giorno di TET Bosnia scorre tranquillo, tra larghe strade bianche, boschi infiniti, cani molto affettuosi, una leggera pioggerellina, qualche cartello di attenzione mine, campi da basket in posti impensabili e le prime vecchiette che parlano alle mucche esattamente come nel film “Perfect Day“.
Il Bosco
Si dice che durante la prima guerra mondiale i soldati obbligati a lunghe marce riuscivano a vivere una specie di stato dormiente mentre erano costretti a marciare. Esausti dormivano mentre camminavano. Non è uno stato mentale a cui sono stato mai obbligato, ovviamente. Ma a volte ci penso quando durante una lunga camminata i pensieri iniziano a prendere sempre più spazio nella mente, tanto da rendere la camminata un’azione automatica, seppur su terreni accidentati.
Il cervello inizia a gestire d’istinto l’azione fisica e dall’altra parte i pensieri corrono, più veloci del solito, corrono, apparentemente autonomi, ma in realtà fortemente condizionati dal contesto e dagli stimoli da cui la mente riceve gli input. Mi succede anche in moto, la guida diventa tranquilla e fluida; i movimenti sono automatici e precisi. La mente inizia a correre e pensa ad altro. Non succede spesso, ci vogliono alcune variabili giuste al momento giusto.
Anche in fuoristrada può succedere; un tratto piano, con tante curve dolci di solito concilia. Ma ancor di più è possibile quando ti trovi attorno ai 1000-1500 metri di altezza in un un fitto bosco in Bosnia, con nebbia e temperatura fresca, nella seconda metà del viaggio, il corpo è provato ma la mente sta più che bene, stimolata dalle mille avventure vissute finora. Lo stato mentale è leggero, quasi onirico, ma i pensieri sono reali e i più disparati. Si pensa alla vita, al futuro, alla morte; si pensa a chi è a casa, si pensa al mondo. Difficile accorgersene, ma in realtà i pensieri sono fortemente legati a quello che l’ambiente attorno suscita nel proprio subconscio; ed un fitto bosco con nebbia e temperature autunnali non può che suscitare pensieri un po’ cupi, un po’ oscuri, ma sempre estremamente carichi di speranza.
Non ricordo più quando abbiamo fatto l’ultima pausa, non vedo i miei compagni dietro di me e le gambe iniziano a chiedere riposo. Mi fermo, mi tolgo il casco e mi siedo, vorrei continuare ad alimentare questo stato di leggerezza, ma arrivano i compagni di viaggio. La condivisione è anche questo, non tutti hanno l’empatia giusta per capire il momento, ma qualcuno sì e alla fine ci godiamo qualche minuto di completo silenzio; in tre che a malapena si conoscono, in un fitto bosco in mezzo alla nebbia, lontano da tutto e da tutti, a migliaia di km di distanza da casa, in un paese straniero.
* Scopro solo qualche settimana dopo, a casa, che proprio quella frontiera è l’ultima barriera che i migranti della rotta balcanica devono superare per riuscire ad entrare in Europa. Frontiera che è molto ben pattugliata dalla polizia Croata, la quale violentemente picchia, deruba e respinge i migranti in Bosnia, intrappolandoli lì per mesi.