Mi trovavo sulla cima di una collina, un’ora prima avevo imboccato quella che sembrava una normale strada, ma che pian piano si era rimpicciolita, davanti a me avevo poco più di un sentiero che dopo pochi metri scompariva in mezzo ad alcune frasche; un fiume verde passava fra la mia collina e le altre tutt’attorno.
“Ci sarà un ponte?” mi chiedevo.
In quel momento ero solo, avevo capito già da una mezzoretta che non potevo fidarmi del navigatore; faceva parecchio caldo, ero dall’altra parte del mondo in mezzo al nulla, circondato da una natura tropicale. Avevo però il mezzo perfetto per queste situazioni, una moto da enduro leggerissima, e i bagagli erano rimasti in homestay.
Controllo sulle mappe di OpenStreetMap e leggo una scritta a poca distanza rispetto dove mi trovavo “No bridge here”.
Non demordo, ma non mi andava di scendere per il sentiero con il rischio di arrivare in fondo e dover girare la moto; noto una specie di capanna in un punto poco più alto rispetto dove mi trovavo, entro a piedi e vedo un ragazzo, un bambino e una bambina giocare e scherzare appollaiati sul piano rialzato di una casa-palafitta in costruzione.
Cerco di comunicare, l’inglese in questi casi è useless, sia io che loro tiriamo fuori i nostri smartphone, scrivo sul traduttore chiedendo se in fondo al sentiero ci fosse un ponte per passare il fiume.
Sembrano capire e il bambino con un gran sorriso e una grande convinzione mi fa cenno di sì e mi invita a scendere senza paura.
Il ragazzo invece sembrava molto più dubbioso sul da farsi, non capivo se a sua volta non avesse capito o se non volesse intervenire.
La bambina si nascondeva timida dietro i fratelli.
Ripeto un paio di volte la domanda cercando l’approvazione del ragazzo più grande, ma niente da fare, una mummia. Il bambino invece continuava ad insistere con ampi gesti per convincermi a scendere senza paura. Ero incerto, mi fido, non mi fido? Mi avranno capito? Bho… non vorrei fare una sciocchezza dall’altra parte del mondo.
In fondo in fondo però avevo una voce dentro di me che mi stava dicendo che quella era una situazione troppo ghiotta per potermi tirare indietro, sentivo chiaramente che c’era una certa dose di avventura da vivere davanti a me.
Alla fine scendo, trovo un altro ragazzetto in camicia addetto al trasporto di mezzi e uomini da una parte all’altra del fiume.
Avevo trovato un Bamboo Ferry.
Un sogno finalmente realizzato!
Ero in Vietnam.
Un po’ di Storia
Terra comunista il Vietnam, tra il 1858 fino al 1946 fu interamente colonia, parte dell’Indocina Francese, fino a che un signore di nome Nguyễn Sinh Cung, o meglio Ho Chi Minh, dopo aver girato il mondo e aver studiato e lavorato in Francia USA Inghilterra e Italia, dopo aver fondato il partito comunista francese ed essersi spostato in Russia e Cina, poté finalmente tornare in patria e iniziare ad organizzare la resistenza contro gli oppressori francesi.
Inizia la guerra d’Indocina che durò fino al 1954, da una parte la Francia e dall’altra i ribelli Viet Minh sostenuti da Cina e Russia. Anche gli USA iniziano ad interessarsi al Vietnam, inizialmente solo dando aiuto logistico ai Francesi.
Francesi che alla fine vengono sconfitti, prima potenza coloniale della storia, dall’esercito comandato da Giap.
Si creano due stati temporanei, il Vietnam del Nord e quello del Sud. Secondo accordi nel 1956 si sarebbero dovute tenere elezioni libere per riunificare il Vietnam sotto un’unica bandiera.
Le elezioni non furono mai organizzate per volere degli USA che temevano l’influenza comunista in estremo oriente (teoria del dominio). Eravamo in piena guerra fredda.
Inizia la guerriglia in tutto il Vietnam del Sud e comincia la Guerra del Vietnam che ben conosciamo.
La pace arriva solo nel 1976, momento in cui la nasce la Repubblica Socialista del Vietnam e il Paese viene riunificato. Ne seguono per almeno due anni repressione e campi di rieducazione per gli ex sostenitori del governo sudvietnamita. Due milioni di vietnamiti cercano di abbandonare il paese. (qualcuno fu salvato e accolto proprio dall’Italia, per approfondire consiglio questa bellissima storia)
Meta di viaggi
Il VIetnam rimane tutt’ora una Repubblica socialista monopartitica che però dal 1986 si è aperta al libero mercato.
Dopo un secolo abbondante di colonialismo e guerre, dopo qualche decina di anni necessari alla ricostruzione, è comprensibile come ora sia un paese in estremo movimento, il turismo sta esplodendo, dando una miriade di opportunità nuove, ma lasciando anche diversi interrogativi.
Dopotutto è un paese ricco di storia e di cultura, offre un panorama culinario di tutto rispetto, anche nell’estremo, povero e montagnoso nord un letto pulito non è difficile da trovare e i vietnamiti sono di una gentilezza a volte disarmante. Solo i trasporti e la conoscenza della lingua inglese possono risultare a volte un problema, ma nonostante ciò non è difficile capire perchè sia meta di tanti viaggiatori e turisti.
Il nostro Viaggio
La prima tappa è stata Hoi An, la guida diceva che sarebbe stata la città più suggestiva che avremmo potuto vedere, ma noi ci credevamo poco.
Era il primo giorno in questo paese tropicale, caldo ma verde; delle due o tutte le città sarebbero state così caotiche ma al tempo stesso ordinate, colorate, magiche e, appunto, suggestive oppure la guida aveva ragione!
Hoi An è un tripudio di colori, un uso saggio delle lampade colorate la rende magica; gli edifici del centro sono rimasti quelli originali del 1800 o precedenti, artigianato e tradizioni locali sono ben visibili e documentate.
Il primo mercato vietnamita mi esalta, ma era solo l’inizio; un mucchio di bancarelle apparentemente disordinate lasciano poco spazio alle numerose persone, turisti e non, che provano a districarsi fra bambini e risciò a pedali. Sembra che in vendita ci sia un po’ di tutto, ma ancora non mi fido a mangiare nulla dalle bancherelle, meglio lasciar passare qualche giorno mi dicevo.
(E infatti resistetti giusto un paio d’ore prima di assaggiare il mio primo Cao Lau 🙂 )
Un acquazzone improvviso ci ricorda che siamo voluti andare in un paese tropicale durante la stagione delle piogge, ma fu uno dei pochi. Le nuvole spariscono quasi del tutto proprio durante un tramonto mozzafiato che regala colori ancora più da sogno.
Ci bastarono poche ore, mezza giornata, per capire che il mezzo di trasporto migliore in assoluto in Vietnam è lo scooter. Avevamo in programma di noleggiare la moto, ma avremmo dovuto aspettare ancora tre tappe prima di arrivare ad Hanoi e finalmente noleggiarla per poterci perdere nelle montagne a nord.
Noleggiamo quindi uno scooter in giornata per poter fare il tratto Hoi An – Hué e un altro ancora per girare Hué e vedere le tombe degli imperatori della dinastia Nguyễn che hanno governato il Vietnam durante tutto l’800 e gli inizi del 900.
Il traffico e i vietnamiti
Mi innamoro letteralmente della modalità con cui si gestisce il traffico in città. Mandrie di motorini si incontrano negli incroci ignorando quasi del tutto le regole scritte; eppure tutto funziona quasi come un orologio, basta entrare nel flusso e delicatamente lasciarsi trasportare in avanti, così altrettanto delicatamente potrai poi uscirne nel momento del bisogno; basta uno sguardo al guidatore che sta sopraggiungendo per capire chi passerà prima e chi invece dovrà rallentare, ma mai frenare. Al posto del freno c’è il clacson.
Quando arriviamo alle tombe imperiali in scooter vado per parcheggiare, ma una signora anziana arriva e mi chiede 5000 dong.
Abituati come siamo ai parcheggiatori abusivi rimango un attimo spiazzato, tutt’ora non saprei dire esattamente come funzioni lì, ma sembra inevitabile che ad ogni parcheggio frequentato tu debba lasciargli quella cifra, l’equivalente di 20 centesimi di euro per capirci.
Due ragazze vietnamite si avvicinano e si offrono di pagare loro per noi.
In questo gesto c’è riassunto tutto quello che posso dire dei vietnamiti che ho incontrato, gentilezza, disponibilità e l’impressione che il problema di uno sia un problema di tutti.
Come quando ti invitano a salire sui loro scooter per evitare di spendere soldi in taxi.
Oppure come quando siamo rimasti senza benzina e non abbiamo dovuto aspettare più di 30 secondi perchè un ragazzo (anche lui in scooter) si fermasse e ci spingesse per 5km fino in città.
O ancora come quando ho perso il portafoglio, me ne accorsi 3 ore dopo cercando di pagare due spremute (eccezionali), la ragazza ci servì da bere anche se non potevamo pagare e io ben dissetato corsi indietro dove pensavo di averlo perso.
Qualcuno l’aveva preso e l’aveva consegnato al negozio di fronte, al mio arrivo le tre donne che lo gestiscono iniziano a farmi festa, erano tutte felici e contente di potermi restituire il portafoglio. Mi bacchettano però perchè non avevo scritto nessun numero da poter chiamare per contattarmi, le avevano provate tutte, avevano addirittura chiesto ad un turista spagnolo di scrivermi su facebook nel tentativo di rintracciarmi.
Trovo il portafoglio ben chiuso da diversi elastici e mancante di nulla, nemmeno un dong.
Famiglia, Homestay e Umanità
Le esperienze in homestay sono poi un qualcosa di unico.
In Vietnam la famiglia è il centro della società, non a caso tutte le piccole e medie realtà “commerciali” sono a conduzione famigliare.
Qualcuno è più attrezzato, qualcuno meno. Ma di fatto ci si ritrova spesso a dormire in casa delle persone, condividere la cena, gli spazi comuni, a passare il tempo con i figli e a condividere sorrisi.
Una delle discussioni più belle le ho avute con Yen (nome inventato, non si sa mai), giovane donna alta un metro e cinquanta, ma con una forza eccezionale, in gamba e gentilissima.
Yen ha militato nel partito, fa la guida turistica e sa un sacco di cose; gestisce l’homestay con l’aiuto del marito in un sobborgo lungo la strada trafficata che da Hanoi arriva a Sa Pa. Grazie al marito che ha cucinato e poi lavato i piatti ho potuto parlare a lungo con Yen, abbiamo parlato di democrazia, di Europa, di partito comunista e di Vietnam, prima che il pianto del figlio ci consigliasse una sana dormita.
Yen è conscia che da noi in Europa ci sia una struttura istituzionale ben migliore di quella vietnamita, Yen invidia la nostra democrazia, dice che siamo molto più avanti di loro. Eppure mi dice che i vietnamiti sono felici, le cose funzionano abbastanza e per ora va bene così.
Alle mie domande sulla gestione del dissenso interno, su come si gestisca la politica senza avere una vera opposizione si fa vaga e mi spiega che nel parlamento Vietnamita comunque un certo numero di parlamentari indipendenti è presente.
Ma come siamo arrivati a parlare di migranti e mediterraneo proprio non ricordo, è stata lei però a tirare fuori la questione, io avevo fatto migliaia di km per imparare cosa sia il Vietnam e conoscere i vietnamiti, mentre lei già era aggiornata su una delle più brutte pagine del mio paese da 60 anni a questa parte.
L’italia ha 15 volte il PIL pro capite del Vietnam, eppure io ero con una giovane madre vietnamita in un sobborgo a 2 ore dalla capitale, un sobborgo sporco e polveroso, diviso fra cemento e fango, uno di quei sobborghi dove i turisti ci passano solo per sbaglio.
Ero lì a parlare di persone ancora più povere, di persone che non hanno nulla, di migranti e di come il mio Paese stia perdendo la sua umanità lasciando che questi migranti, queste persone, diventino solo numeri, diventino problemi, diventino terreno di scontro politico. Diventino morti.
Nemmeno in italia penso di aver mai fatto una discussione così, una di quelle discussioni frutto della curiosità l’uno per l’altro, una discussione tra persone completamente diverse, eppure che si riescono a trovare sulla stessa lunghezza d’onda. Una discussione tra viaggiatori.
Sa Pa e villaggi
Siamo partiti in moto da Hanoi per percorrere tutto l’estremo nord, come sempre succede il programma è elastico, aggiungiamo tappe e purtroppo dovremo toglierne qualcuna verso la fine del viaggio. Questa volta la buona riuscita dei cambiamenti di programma improvvisi è merito delle persone del posto, incontrate lungo la strada, che ci hanno dato le dritte giuste per fare delle deviazioni favolose.
Sa Pa è la località montana più famosa del Vietnam. È un qualcosa di orribile, una città arroccata su un piccolo altopiano dove la speculazione edilizia e turismo di massa danno il meglio, o il peggio, di sé.
Per fortuna basta uscire dal centro o alzare lo sguardo verso le montagne per renderla in realtà una tappa obbligatoria anche per i viaggiatori più attenti.
La sua caratteristica più interessante sono i numerosi villaggi di minoranze etniche sparsi per le montagne vicine; abbiamo giusto una mattina purtroppo e riusciamo a visitare solo i due più vicini.
Non mi addentro nella questione turismo e comunità locali, ci vorrebbero più informazioni, ma passare dalla vista degli hotel a 5 stelle al villaggio di Xín Chải a qualche centinaia di metri l’uno dall’altro fa impressione e pone diverse domande.
Percorriamo a piedi la strada dal nostro homestay al villaggio, è asfaltata, ma molto rotta; percorrendola ci troviamo già completamente fuori dal baccano del centro città. Il silenzio è interrotto solo dagli immancabili scooter che trasportano persone o cose.
In Vietnam tutta la verdura che si mangia è fresca, non esistono spezie secche (escluso il pepe forse), ma c’è un grosso utilizzo di erbe fresche, d’altronde siamo ai tropici.
Tutti i giorni i vietnamiti escono di casa e raccolgono quello che la natura regala, la si impacchetta e la si carica sugli scooter. Migliaia di scooter ogni giorno in Vietnam trasportano l’impensabile, dai grossi sacchi di erbe fresche alle galline, alle anatre, ai vestiti… qualsiasi cosa si possa trasportare e vendere. Ho visto caricare addirittura una moto su uno scooter, oppure una volta ho visto due tizi trasportare un televisore 40 pollici per più di un’ora su strade di montagna.
Entriamo a Xín Chải, la primissima parte è cementificata, ci sono la scuola e pochi altri edifici principali. Proseguendo la strada diventa un sentiero, che si snoda fra le baracche dove vivono diverse famiglie.
Ci cattura immediatamente la vista una decina di bambini intenti a giocare a carte, giocano d’azzardo, si giocano delle caramelle; avranno tutti meno di 10 anni, giocano con passione, buttano a terra le carte compiendo movimenti veloci con le mani su un terrapieno di cemento dove sono seduti.
Sono tutti maschi, tranne una bambina piccola, 3-4 anni, vestita solo di una maglietta, ha il labbro e la guancia ferite, si nasconde timida dietro a suo fratello.
Proseguiamo e vediamo un altro bambino piccolo seduto su una roccia, anche lui vestito solo con una maglietta; appena ci vede prende il cartone che teneva in mano e se lo mette in testa quasi come se fosse una corona; non possiamo comunicare a parole con lui, ma una mano alzata in segno di saluto e sorrisi reciproci valgono molto di più.
In Vietnam il 40% della popolazione è under 24 (in Italia è il 20%, la metà) e per strada si vede. Fa molta impressione la differenza dello stile di vita dei bambini vietnamiti rispetto a quanto siamo abituati noi. Sono quasi sempre da soli, in gruppetti piccoli, come tutti i vietnamiti sorridono sempre, ti dicono “hello” e vogliono darti il 5; per strada sono liberi di giocare e divertirsi, spesso li abbiamo visti anche lontani dai villaggi, spesso abbiamo visto un bambino o una bambina portarsi in spalla il fratello o la sorella di 2-3 anni.
Giocano con quello che hanno, giocano fra di loro, giocano con un pallone sotto la pioggia, giocano con gli animali, i bufali, le mucche e le galline.
Un altro mondo.
La vista delle baracche del villaggio Xín Chải mi resterà per sempre impressa nella mente, ho visto persone che vivono fra quattro mura costruite con legno e lamiere, un pavimento di fango e senza porte; mi pento di non essere rimasto un po’ di più per provare a parlare con loro e condividere qualche momento.
Nei cortili delle case oltre alla fogna a cielo aperto ci sono i classici animali da cortile, galline e altri tipi di pennuti, maiali asiatici e quant’altro. Dietro casa c’è l’immancabile campo di riso, mentre le erbe usate in cucina e il mais crescono apparentemente ovunque.
Il governo ha spinto molto nei primi anni 2000 per far arrivare l’elettricità ovunque, elettricità e cisterne d’acqua non mancano mai nonostante a volte manchi un vero sistema fognario.
Estremo nord in moto
Il viaggio a nord prosegue fra curve e paesini, ci lasciamo sfuggire uno dei mercati più famosi della zona a Bắc Hà, c’è solo la domenica. Ma ci avvisano che per strada saremo riusciti a vederne un altro, mi segno il paese sulla mappa.
Il giorno seguente entriamo in questo paese con un nome impronunciabile e avviso Paolo di buttare l’occhio per trovare questo mercato, avevo paura di perdermelo.. Ci troviamo poco dopo in mezzo a centinaia di persone, bufali, scooter, frittelle, abiti tradizionali, oggettistica varia, carne macellata riposta su tavole di legno, pentoloni appoggiati a fuochi liberi, bacinelle con pesci in acqua filtrata uno strano sistema basato sul motore di uno scooter…
Non mi faccio sfuggire l’occasione di farmi tagliare i capelli da uno dei barbieri costantemente al lavoro schierati al lato del mercato; la sella dello scooter serve per appoggiare specchio e attrezzi, uno sgabello per il cliente e un ombrellone bastano poi per essere super efficienti. Mi mangio una frittella bella unta e faccio una miriade di foto.
Proseguiamo il viaggio in moto affrontando il famoso Han Giang Loop, qualche centinaio di km di strada asfaltata, solo a tratti rotta, che tocca il confine estremo nord del Vietnam con la Cina e passa fra cittadine, paesini di montagna e veri e propri villaggi popolati dalle 54 minoranze etniche presenti in Vietnam, si, cinquantaquattro.
La strada si inerpica fra montagne carsiche, piccoli altipiani, passi, lunghi passaggi scavati nella roccia con a lato il precipizio; è uno spettacolo a tratti mozzafiato.
Ma è anche uno spaccato del Vietnam in pieno sviluppo turistico, uno sviluppo fortunatamente ancora a misura d’uomo, ma siamo pur sempre sulla strada principale che, per quanto remota, non potrà regalare quello che è nascosto più dentro, più nel profondo, perso nei villaggi collegati da stradine.
Nostro malgrado ho una giornata “libera” dai programmi, una giornata da riempire senza il peso dei bagagli. (nostro malgrado per problemi intestini al mio compagno di viaggio)
Amo fare fuoristrada in moto anche per questo, permette di infilarsi in posti altrimenti impensabili o comunque difficili da raggiungere; permette di vivere ogni metro fatto con fatica in maniera diversa, permette di vedere la vita vera, quella segreta, quella diversa;
Permette di vedere persone non abituate a vedere stranieri o che quantomeno si approcciano a te in maniera differente anche solo per il fatto di vederti in mezzo al nulla a condividere le loro strade secondarie usate per lavorare, per trasportare cose, per andare a trovare qualche amico o famigliare, non di certo per trasportare autobus di turisti.
È in questo giorno che sbircio altri momenti di vita “segreta”, altre conversazioni a gesti, altra polvere e paura di infilarsi in strade non fattibili. È in questo giorno che prendo il bamboo ferry e corono un sogno degli ultimi anni, così, in modo inatteso.
È qui che c’è più da scoprire, ma il tempo è poco.
Non ci facciamo mancare un ultimo tuffo nel caos di Hanoi, città da scoprire, città dai mille motorini e dai mille vicoli. Le persone si fanno probabilmente meno gentili, ma in compenso si respira vita vissuta, disordinata, ma non frenetica.
Il principale mercato cittadino è un’esperienza da non perdere, è immenso e non riesci a spiegarti come una bancarella possa differenziarsi da quelle affianco. Al turista vengono proposti prezzi alti, ma la contrattazione è la base di qualunque acquisto.
Il momento dei saluti con questo splendido paese è vicino, ci concediamo un ultimo assaggio di cucina Vietnamita in un piccolissimo ristorantino tipico; mi abbandono completamente al traffico di Hanoi dimenticandomi anche io stesso il senso dei semafori; ci infradiciamo per l’ultimo acquazzone improvviso, visitiamo la tomba di Ho Chi Minh respirando una certa solennità. Arriva il momento anche di restituire la moto, le do una pacca di ringraziamento per i giorni passati insieme e poi per non far scendere il morale mi concedo l’ultimo street food.
Infine beviamo l’ultima eccezionale spremuta al passion fruit nel quartiere vecchio servita da una ragazza carinissima che per un po’ mi tornerà in mente ascoltando “Le Passanti” di De Andrè.
“Finirai per trovarla la Via… se prima hai il coraggio di perderti”
da “Un altro giro di giostra” T. Terzani.
Qui puoi trovare tutte le foto -> https://www.instagram.com/monossidoz/
Qui puoi trovare il diario culinario 😋 -> https://www.instagram.com/eatingaloneornotontheroad/
Qui il video di 7 minuti del viaggio -> https://www.youtube.com/watch?v=TF_nFNqJBKM&t=9s
Di un altro livello
❤️