Correvo con un certo senso di colpa in corpo, ma bilanciato dalle endorfine che iniziavano a sprigionarsi.
Questa volta ho scelto un argine nuovo, mai fatto, il più isolato di tutti.
Sento delle voci provenire dal campo Rom e Sinti dall’altra parte del fiume, lì sono sempre in un certo isolamento e anche questa volta nessuno avrà pensato a loro; probabilmente la loro vita scorre normalmente in questi giorni.
I lampioni che illuminano l’argine vuoto improvvisamente finiscono e quasi senza accorgermi mi ritrovo avvolto dall’oscurità.
La mia pila frontale illumina il terreno che da sassoso diventa terroso, attorno non vedo nulla, se punto la luce attorno a me vedo erba alta fino al ginocchio e null’altro.
Il mio smartwatch segnava solo 3 chilometri, dovevo quindi proseguire.
In lontananza ora sento solo i rumori di una fabbrica, carrelli che scorrono, presse e vampate di calore, non una voce umana; solo rumori tonfi, sordi.
Mi attirano dei fruscii tra l’erba, mi guardo intorno, non vedo nulla.
Gli umani hanno abbandonato troppi territori e con troppa velocità.
Sai cos’hanno risvegliato nell’oscurità di Wuhan?
Ombre e fiamme.
Ormai cerco invano di puntare la luce nell’oscurità alla ricerca di qualche oggetto che la rifletta.
Brancolo nel buio riuscendo a illuminare solo il terreno a due metri da me.
Inciampo. Cado. Rotolo in discesa sull’erba, sbatto la testa un po’ di volte, ma non perdo i sensi.
Sono però intontito e tengo gli occhi chiusi, pian piano una luce si fa strada fra le mie palpebre.
Apro gli occhi e mi trovo in una casa.
La luce di mezzogiorno entra delle enormi vetrate, tutto è pulitissimo, si sente un pungente odore di Ipoclorito di sodio.
Ci sono diversi post-it messi qua e là, ma non ho la forza di leggerli.
Mi guardo intorno e verso l’uscita vedo un secchio con scritto “mascherine usate”.
Entro in salotto passando una grande arcata e nel mentre noto un foglio posticcio attaccato ad un mobile:
“Lasciate ogni speranza o voi asintomatici contagiosi” leggo
“C’è qualcuno!” esclamo fra me e me, un signore distinto, in giacca e cravatta è seduto su una poltrona ed è intento a leggere il giornale.
Ma quando provo ad avvicinarmi arrivo a circa due metri ed una forza invincibile e sovrumana mi respinge indietro fino a stendermi per terra.
Batto la testa e torno mezzo addormentato.
Fu lì che capii… ero a casa Burioni.